domenica 13 febbraio 2011


Il Papa: l’amore di Cristo «dà quasi le ali all’uomo»
Su san Giovanni della Croce la catechesi settimanale

l’udienza del mercoledì


C
ari fratelli e sorelle, due settimane fa ho presentato la figura della grande mi­stica spagnola Teresa di Gesù. Oggi vorrei parlare di un altro importante santo di quelle terre, amico spirituale di santa Teresa, riformatore, insieme a lei, della famiglia re­ligiosa carmelitana: san Giovanni della Cro­ce, proclamato dottore della Chiesa dal Papa Pio XI, nel 1926, e soprannominato nella tra­dizione
doctor
mysticus, «dottore mistico».
G
iovanni della Croce nacque nel 1542 nel piccolo villaggio di Fontiveros, vi­cino ad Avila, nella Vecchia Castiglia, da Gonzalo de Yepes e Catalina Alvarez. La fa­miglia era poverissima, perché il padre, di no­bile origine toledana, era stato cacciato di ca­sa e diseredato per aver sposato Catalina, un’umile tessitrice di seta. Orfano di padre in tenera età, Giovanni, a nove anni, si trasferì, con la madre e il fratello Francisco, a Medi­na del Campo, vicino a Valladolid, centro commerciale e culturale. Qui frequentò il Co­legio de los doctrinos , svolgendo anche alcu­ni umili lavori per le suore della chiesa-con­vento della Maddalena. Successivamente, da­te le sue qualità umane e i suoi risultati negli studi, venne ammesso prima come infer­miere nell’Ospedale della Concezione, poi nel Collegio dei Gesuiti, appena fondato a Medina del Campo: qui Giovanni entrò di­ciottenne e studiò per tre anni scienze uma­ne, retorica e lingue classiche. Alla fine della formazione, egli aveva ben chiara la propria vocazione: la vita religiosa e, tra i tanti ordi­ni presenti a Medina, si sentì chiamato al Car­melo.
N ell’estate del 1563 iniziò il noviziato presso i Carmelitani della città, as­sumendo il nome religioso di Mattia. L’anno seguente venne destinato alla presti­giosa Università di Salamanca, dove studiò per un triennio arti e filosofia. Nel 1567 fu or­dinato sacerdote e ritornò a Medina del Cam­po per celebrare la sua prima Messa circon­dato dall’affetto dei familiari. Proprio qui av­venne il primo incontro tra Giovanni e Tere­sa di Gesù. L’incontro fu decisivo per en- trambi: Teresa gli espose il suo piano di rifor­ma del Carmelo anche nel ramo maschile dell’Ordine e propose a Giovanni di aderirvi «per maggior gloria di Dio»; il giovane sacer­dote fu affascinato dalle idee di Teresa, tan­to da diventare un grande sostenitore del pro­getto. I due lavorarono insieme alcuni mesi, condividendo ideali e proposte per inaugu­rare al più presto possibile la prima casa di Carmelitani Scalzi: l’apertura avvenne il 28 di­cembre 1568 a Duruelo, luogo solitario della provincia di Avila. Con Giovanni formavano questa prima comunità maschile riformata altri tre compagni. Nel rinnovare la loro pro­fessione religiosa secondo la Regola primiti­va, i quattro adottarono un nuovo nome: Gio­vanni si chiamò allora «della Croce», come sarà poi universalmente conosciuto. Alla fi­ne del 1572, su richiesta di santa Teresa, di­venne confessore e vicario del monastero del­l’Incarnazione di Avila, dove la Santa era prio­ra. Furono anni di stretta collaborazione e a­micizia spirituale, che arricchì entrambi. ! quel periodo risalgono anche le più impor­tanti opere teresiane e i primi scritti di Gio­vanni.
L’ adesione alla riforma carmelitana non fu facile e costò a Giovanni an­che gravi sofferenze. L’episodio più traumatico fu, nel 1577, il suo rapimento e la sua incarcerazione nel convento dei Carmelitani dell’An­tica Osservanza di Toledo, a seguito di una ingiusta accusa.
Il Santo rimase im­prigionato per mesi, sottoposto a priva­zioni e costrizioni fi­siche e morali. Qui compose, insieme ad altre poesie, il celebre

Cantico spirituale .
Finalmente, nella notte tra il 16 e il 17 agosto 1578, riuscì a fuggire in modo avventuroso, riparandosi nel mona­stero delle Carmelitane Scalze della città. San­ta Teresa e i compagni riformati celebrarono con immensa gioia la sua liberazione e, do­po un breve tempo di recupero delle forze, Giovanni fu destinato in Andalusia, dove tra­scorse dieci anni in vari conventi, special­mente a Granada. Assunse incarichi sempre più importanti nell’Ordine, fino a diventare vicario provinciale, e completò la stesura dei suoi trattati spirituali. Tornò poi nella sua ter­ra natale, come membro del governo gene- rale della famiglia religiosa teresiana, che go­deva ormai di piena autonomia giuridica. A­bitò nel Carmelo di Segovia, svolgendo l’uf­ficio di superiore di quella comunità. Nel 1591 fu sollevato da ogni responsabilità e destina­to alla nuova Provincia religiosa del Messico. Mentre si preparava per il lungo viaggio con altri dieci compagni, si ritirò in un convento solitario vicino a Jaén, dove si ammalò gra­vemente. Giovanni affrontò con esemplare serenità e pazienza enormi sofferenze. Morì nella notte tra il 13 e il 14 dicembre 1591, mentre i confratelli recitavano l’Ufficio mat­tutino. Si congedò da essi dicendo: «Oggi va­do a cantare l’Ufficio in cielo». I suoi resti mortali furono traslati a Segovia. Venne bea­tificato da Clemente X nel 1675 e canonizza­to da Benedetto XIII nel 1726. Giovanni è considerato uno dei più impor­tanti poeti lirici della letteratura spagnola. Le opere maggiori sono quattro: Ascesa al Mon­te Carmelo, Notte oscura, Cantico spirituale
e
Fiamma d’amor viva.
N

el
Cantico spirituale , san Giovanni presenta il cammino di purificazio­ne dell’anima, e cioè il progressivo possesso gioioso di Dio, finché l’anima per­viene a sentire che ama Dio con lo stesso a­more con cui è amata da Lui. La Fiamma d’a­mor viva prosegue in questa prospettiva, de­scrivendo più in det­taglio lo stato di u­nione trasformante con Dio. Il paragone utilizzato da Giovan­ni è sempre quello del fuoco: come il fuoco quanto più ar­de e consuma il le­gno, tanto più si fa incandescente fino a diventare fiamma, così lo Spirito Santo, che durante la notte oscura purifica e «pulisce» l’anima, col tempo la illumina e la scalda co­me se fosse una fiamma. La vita dell’anima è una continua festa dello Spirito Santo, che lascia intravedere la gloria dell’unione con Dio nell’eternità.
L’
Ascesa al Monte Carmelo
presenta l’itinerario spirituale dal punto di vi­sta della purificazione progressiva dell’anima, necessaria per scalare la vetta del­la perfezione cristiana, simboleggiata dalla cima del Monte Carmelo. Tale purificazione è proposta come un cammino che l’uomo intraprende, collaborando con l’azione divi­na, per liberare l’anima da ogni attaccamen­to o affetto contrario alla volontà di Dio. La purificazione, che per giungere all’unione d’amore con Dio dev’essere totale, inizia da quella della vita dei sensi e prosegue con quella che si ottiene per mezzo delle tre virtù teologali: fede, speranza e carità, che purifi­cano l’intenzione, la memoria e la volontà. La Notte oscura descrive l’aspetto «passivo», os­sia l’intervento di Dio in questo processo di «purificazione» dell’anima. Lo sforzo uma­no, infatti, è incapace da solo di arrivare fino alle radici profonde delle inclinazioni e del­le abitudini cattive della persona: le può so­lo frenare, ma non sradicarle completamen­te. Per farlo, è necessaria l’azione speciale di Dio che purifica radicalmente lo spirito e lo dispone all’unione d’amore con Lui. San Gio­vanni definisce «passiva» tale purificazione, proprio perché, pur accettata dall’anima, è realizzata dall’azione misteriosa dello Spiri­to Santo che, come fiamma di fuoco, consu­ma ogni impurità. In questo stato, l’anima è sottoposta ad ogni genere di prove, come se si trovasse in una notte oscura. Q ueste indicazioni sulle opere princi­pali del santo ci aiutano ad avvici­narci ai punti salienti della sua vasta e profonda dottrina mistica, il cui sco­po è descrivere un cammino sicuro per giun­gere alla santità, lo stato di perfezione cui Dio chiama tutti noi. Secondo Giovanni della Cro­ce, tutto quello che esiste, creato da Dio, è buono. Attraverso le creature, noi possiamo pervenire alla scoperta di Colui che in esse ha lasciato una traccia di sé. La fede, comun­que, è l’unica fonte donata all’uomo per co­noscere Dio così come Egli è in se stesso, co­me Dio Uno e Trino. Tutto quello che Dio vo­leva comunicare all’uomo, lo ha detto in Ge­sù Cristo, la sua Parola fatta carne. Gesù Cri­sto è l’unica e definitiva via al Padre (cfr Gv
14,6). Qualsiasi cosa creata è nulla in con­fronto a Dio e nulla vale al di fuori di Lui: di conseguenza, per giungere all’amore perfet­to di Dio, ogni altro amore deve conformar­si in Cristo all’amore divino. Da qui deriva l’insistenza di san Giovanni della Croce sul­la necessità della purificazione e dello svuo­tamento interiore per trasformarsi in Dio, che è la meta unica del­la perfezione. Que­sta «purificazione» non consiste nella semplice mancanza fisica delle cose o del loro uso; quello che rende l’anima pura e libera, invece, è eli­minare ogni dipen­denza disordinata dalle cose. Tutto va collocato in Dio come centro e fine della vita. Il lungo e faticoso pro­cesso di purificazione esige certo lo sforzo personale, ma il vero protagonista è Dio: tut­to quello che l’uomo può fare è «disporsi», essere aperto all’azione divina e non porle o­stacoli. Vivendo le virtù teologali, l’uomo si eleva e dà valore al proprio impegno. Il ritmo di crescita della fede, della speranza e della carità va di pari passo con l’opera di purifi­cazione e con la progressiva unione con Dio fino a trasformarsi in Lui. Quando si giunge a questa meta, l’anima si immerge nella stes­sa vita trinitaria, così che san Giovanni affer­ma che essa giunge ad amare Dio con il me­desimo amore con cui Egli la ama, perché la ama nello Spirito Santo. Ecco perché il dot­tore mistico sostiene che non esiste vera u­nione d’amore con Dio se non culmina nel­l’unione trinitaria. In questo stato supremo
l’anima santa conosce tutto in Dio e non de­ve più passare attraverso le creature per ar­rivare a Lui. L’anima si sente ormai inonda­ta dall’amore divino e si rallegra completa­mente in esso.
C
ari fratelli e sorelle, alla fine rimane la questione: questo santo con la sua al­ta mistica, con questo arduo cammi­no verso la cima della perfezione ha da dire qualcosa anche a noi, al cristiano normale che vive nelle circostanze di questa vita di oggi, o è un esempio, un modello solo per poche anime elette che possono realmente intraprendere questa via della purificazione, dell’ascesa mistica? Per trovare la risposta dobbiamo innanzitutto tenere presente che la vita di san Giovanni della Croce non è sta­ta un «volare sulle nuvole mistiche», ma è sta­ta una vita molto dura, molto pratica e con­creta, sia da riformatore dell’ordine, dove in­contrò tante opposizioni, sia da superiore provinciale, sia nel carcere dei suoi confratelli, dove era esposto a insulti incredibili e a mal­trattamenti fisici. È stata una vita dura, ma proprio nei mesi passati in carcere egli ha scritto una delle sue opere più belle. E così possiamo capire che il cammino con Cri­sto, l’andare con Cri­sto, «la Via», non è un peso aggiunto al già sufficientemente duro fardello della nostra vita, non è qualcosa che rende­rebbe ancora più pe­sante questo fardel­lo, ma è una cosa del tutto diversa, è una lu­ce, una forza, che ci aiuta a portare questo fardello. Se un uomo reca in sé un grande amore, questo amore gli dà quasi ali, e sop­porta più facilmente tutte le molestie della vita, perché porta in sé questa grande luce; questa è la fede: essere amato da Dio e la­sciarsi amare da Dio in Cristo Gesù. Questo lasciarsi amare è la luce che ci aiuta a por­tare il fardello di ogni giorno. E la santità non è un’opera nostra, molto difficile, ma è proprio questa «apertura»: aprire e finestre della nostra anima perché la luce di Dio pos­sa entrare, non dimenticare Dio perché pro­prio nell’apertura alla sua luce si trova for­za, si trova la gioia dei redenti. Preghiamo il Signore perché ci aiuti a trovare questa santità, lasciarsi amare da Dio, che è la vo­cazione di noi tutti e la vera redenzione. Grazie.




Nella dottrina mistica del santo un cammino sicuro «per giungere alla santità, lo stato di perfezione» cui tutti noi siamo chiamati «Quello che rende l’anima pura e libera è eliminare ogni dipendenza disordinata dalle cose.
Tutto va collocato in Dio»



Il Papa entra nell’Aula Paolo VI per l’udienza generale (foto Ansa)

Il cristiano abbia «una vita moralmente coerente

Cari fratelli e sorelle,
Oggi vorrei parlarvi di san Pietro Kanis, Canisio nella forma latinizzata del suo cognome, una figura molto importante nel Cinquecento cattolico. Era nato l’8 maggio 1521 a Nimega, in Olanda. Suo padre era borgomastro della città. Mentre era studente all’Università di Colonia, frequentò i monaci Certosini di santa Barbara, un centro propulsivo di vita cattolica, e altri pii uomini che coltivavano la spiritualità della cosiddetta devotio moderna. Entrò nella Compagnia di Gesù l’8 maggio 1543 a Magonza (Renania – Palatinato), dopo aver seguito un corso di esercizi spirituali sotto la guida del beato Pierre Favre, Petrus Faber, uno dei primi compagni di sant’Ignazio di Loyola. Ordinato sacerdote nel giugno 1546 a Colonia, già l’anno seguente, come teologo del Vescovo di Augusta, il cardinale Otto Truchsess von Waldburg, fu presente al Concilio di Trento, dove collaborò con due confratelli, Diego Laínez e Alfonso Salmerón.

Nel 1548, sant’Ignazio gli fece completare a Roma la formazione spirituale e lo inviò poi nel Collegio di Messina a esercitarsi in umili servizi domestici. Conseguito a Bologna il dottorato in teologia il 4 ottobre 1549, fu destinato da sant'Ignazio all'apostolato in Germania. Il 2 settembre di quell'anno, il '49, visitò Papa Paolo III in Castel Gandolfo e poi si recò nella Basilica di San Pietro per pregare. Qui implorò l'aiuto dei grandi Santi Apostoli Pietro e Paolo, che dessero efficacia permanente alla Benedizione Apostolica per il suo grande destino, per la sua nuova missione. Nel suo diario annotò alcune parole di questa preghiera. Dice: "Là io ho sentito che una grande consolazione e la presenza della grazia mi erano concesse per mezzo di tali intercessori [Pietro e Paolo]. Essi confermavano la mia missione in Germania e sembravano trasmettermi, come ad apostolo della Germania, l’appoggio della loro benevolenza. Tu conosci, Signore, in quanti modi e quante volte in quello stesso giorno mi hai affidato la Germania per la quale in seguito avrei continuato ad essere sollecito, per la quale avrei desiderato vivere e morire".

Dobbiamo tenere presente che ci troviamo nel tempo della Riforma luterana, nel momento in cui la fede cattolica nei Paesi di lingua germanica, davanti al fascino della Riforma, sembrava spegnersi. Era un compito quasi impossibile quello di Canisio, incaricato di rivitalizzare, di rinnovare la fede cattolica nei Paesi germanici. Era possibile solo in forza della preghiera. Era possibile solo dal centro, cioè da una profonda amicizia personale con Gesù Cristo; amicizia con Cristo nel suo Corpo, la Chiesa, che va nutrita nell'Eucaristia, Sua presenza reale.

Seguendo la missione ricevuta da Ignazio e da Papa Paolo III, Canisio partì per la Germania e partì innanzitutto per il Ducato di Baviera, che per parecchi anni fu il luogo del suo ministero. Come decano, rettore e vicecancelliere dell’Università di Ingolstadt, curò la vita accademica dell’Istituto e la riforma religiosa e morale del popolo. A Vienna, dove per breve tempo fu amministratore della Diocesi, svolse il ministero pastorale negli ospedali e nelle carceri, sia nella città sia nelle campagne, e preparò la pubblicazione del suo Catechismo. Nel 1556 fondò il Collegio di Praga e, fino al 1569, fu il primo superiore della provincia gesuita della Germania superiore.

In questo ufficio, stabilì nei Paesi germanici una fitta rete di comunità del suo Ordine, specialmente di Collegi, che furono punti di partenza per la riforma cattolica, per il rinnovamento della fede cattolica. In quel tempo partecipò anche al colloquio di Worms con i dirigenti protestanti, tra i quali Filippo Melantone (1557); svolse la funzione di Nunzio pontificio in Polonia (1558); partecipò alle due Diete di Augusta (1559 e 1565); accompagnò il Cardinale Stanislao Hozjusz, legato del Papa Pio IV presso l’Imperatore Ferdinando (1560); intervenne alla Sessione finale del Concilio di Trento dove parlò sulla questione della Comunione sotto le due specie e dell’Indice dei libri proibiti (1562).

Nel 1580 si ritirò a Friburgo in Svizzera, tutto dedito alla predicazione e alla composizione delle sue opere, e là morì il 21 dicembre 1597. Beatificato dal beato Pio IX nel 1864, fu proclamato nel 1897 secondo Apostolo della Germania dal Papa Leone XIII, e dal Papa Pio XI canonizzato e proclamato Dottore della Chiesa nel 1925.

San Pietro Canisio trascorse buona parte della sua vita a contatto con le persone socialmente più importanti del suo tempo ed esercitò un influsso speciale con i suoi scritti. Fu editore delle opere complete di san Cirillo d’Alessandria e di san Leone Magno, delle Lettere di san Girolamo e delle Orazioni di san Nicola della Fluë. Pubblicò libri di devozione in varie lingue, le biografie di alcuni Santi svizzeri e molti testi di omiletica. Ma i suoi scritti più diffusi furono i tre Catechismi composti tra il 1555 e il 1558. Il primo Catechismo era destinato agli studenti in grado di comprendere nozioni elementari di teologia; il secondo ai ragazzi del popolo per una prima istruzione religiosa; il terzo ai ragazzi con una formazione scolastica a livello di scuole medie e superiori. La dottrina cattolica era esposta con domande e risposte, brevemente, in termini biblici, con molta chiarezza e senza accenni polemici. Solo nel tempo della sua vita sono state ben 200 le edizioni di questo Catechismo! E centinaia di edizioni si sono succedute fino al Novecento. Così in Germania, ancora nella generazione di mio padre, la gente chiamava il Catechismo semplicemente il Canisio: è realmente il catechista per secoli, ha formato la fede di persone per secoli.

È, questa, una caratteristica di san Pietro Canisio: saper comporre armoniosamente la fedeltà ai principi dogmatici con il rispetto dovuto ad ogni persona. San Canisio ha distinto l'apostasia consapevole, colpevole, dalla fede, dalla perdita della fede incolpevole, nelle circostanze. E ha dichiarato, nei confronti di Roma, che la maggior parte dei tedeschi passata al Protestantesimo era senza colpa. In un momento storico di forti contrasti confessionali, evitava - questa è una cosa straordinaria - l’asprezza e la retorica dell’ira - cosa rara come ho detto a quei tempi nelle discussioni tra cristiani, - e mirava soltanto alla presentazione delle radici spirituali e alla rivitalizzazione della fede nella Chiesa. A ciò servì la conoscenza vasta e penetrante che ebbe della Sacra Scrittura e dei Padri della Chiesa: la stessa conoscenza che sorresse la sua personale relazione con Dio e l’austera spiritualità che gli derivava dalla devotio moderna e dalla mistica renana.

È caratteristica per la spiritualità di san Canisio una profonda amicizia personale con Gesù. Scrive, per esempio, il 4 settembre 1549 nel suo diario, parlando con il Signore: "Tu, alla fine, come se mi aprissi il cuore del Sacratissimo Corpo, che mi sembrava di vedere davanti a me, mi hai comandato di bere a quella sorgente, invitandomi per così dire ad attingere le acque della mia salvezza dalle tue fonti, o mio Salvatore". E poi vede che il Salvatore gli dà un vestito con tre parti che si chiamano pace, amore e perseveranza. E con questo vestito composto da pace, amore e perseveranza, il Canisio ha svolto la sua opera di rinnovamento del cattolicesimo. Questa sua amicizia con Gesù - che è il centro della sua personalità - nutrita dall'amore della Bibbia, dall'amore del Sacramento, dall'amore dei Padri, questa amicizia era chiaramente unita con la consapevolezza di essere nella Chiesa un continuatore della missione degli Apostoli. E questo ci ricorda che ogni autentico evangelizzatore è sempre uno strumento unito, e perciò stesso fecondo, con Gesù e con la sua Chiesa.

All’amicizia con Gesù san Pietro Canisio si era formato nell’ambiente spirituale della Certosa di Colonia, nella quale era stato a stretto contatto con due mistici certosini: Johann Lansperger, latinizzato in Lanspergius, e Nicolas van Hesche, latinizzato in Eschius. Successivamente approfondì l’esperienza di quell’amicizia, familiaritas stupenda nimis, con la contemplazione dei misteri della vita di Gesù, che occupano larga parte negli Esercizi spirituali di sant’Ignazio. La sua intensa devozione al Cuore del Signore, che culminò nella consacrazione al ministero apostolico nella Basilica Vaticana, trova qui il suo fondamento.

Nella spiritualità cristocentrica di san Pietro Canisio si radica un profondo convincimento: non si dà anima sollecita della propria perfezione che non pratichi ogni giorno la preghiera, l’orazione mentale, mezzo ordinario che permette al discepolo di Gesù di vivere l’intimità con il Maestro divino. Perciò, negli scritti destinati all’educazione spirituale del popolo, il nostro Santo insiste sull’importanza della Liturgia con i suoi commenti ai Vangeli, alle feste, al rito della santa Messa e degli altri Sacramenti, ma, nello stesso tempo, ha cura di mostrare ai fedeli la necessità e la bellezza che la preghiera personale quotidiana affianchi e permei la partecipazione al culto pubblico della Chiesa.

Si tratta di un’esortazione e di un metodo che conservano intatto il loro valore, specialmente dopo che sono stati riproposti autorevolmente dal Concilio Vaticano II nella Costituzione Sacrosanctum Concilium: la vita cristiana non cresce se non è alimentata dalla partecipazione alla Liturgia, in modo particolare alla santa Messa domenicale, e dalla preghiera personale quotidiana, dal contatto personale con Dio. In mezzo alle mille attività e ai molteplici stimoli che ci circondano, è necessario trovare ogni giorno dei momenti di raccoglimento davanti al Signore per ascoltarlo e parlare con Lui.

Allo stesso tempo, è sempre attuale e di permanente valore l’esempio che san Pietro Canisio ci ha lasciato, non solo nelle sue opere, ma soprattutto con la sua vita. Egli insegna con chiarezza che il ministero apostolico è incisivo e produce frutti di salvezza nei cuori solo se il predicatore è testimone personale di Gesù e sa essere strumento a sua disposizione, a Lui strettamente unito dalla fede nel suo Vangelo e nella sua Chiesa, da una vita moralmente coerente e da un’orazione incessante come l’amore. E questo vale per ogni cristiano che voglia vivere con impegno e fedeltà la sua adesione a Cristo. Grazie.



Santo padre Papa Francesco I